La Direttiva Europea SUP (Single Use Plastics) contro i prodotti in plastica monouso (ovvero prodotti usa e getta), in gestazione da cinque anni, adottata ufficialmente da due, e che deve essere recepita da tutti i Paesi Membri dell’UE, Italia inclusa, entro il 3 Luglio prossimo, dà delle indicazioni forti e chiare: l’usa e getta va scoraggiato, ed eliminato del tutto in taluni casi ben individuati per i quali esistono alternative riutilizzabili (come bastoncini cotonati; posate, piatti, mescolatori e cannucce; aste per palloncini; contenitori per alimenti, bevande e relativi tappi), indipendentemente dal fatto che i prodotti monouso siano fatti in plastiche tradizionali oppure con le cosiddette  “bioplastiche”.

Il sollevarsi di resistenze last minute, di gruppi politici ed economici, che chiedono deroghe e ammorbidimenti, è inaccettabile e ridicolo. In primis perché l’Italia sedeva ai tavoli di consultazione in cui la bozza della direttiva è stata scritta e limata, e poi ai banchi del Parlamento Europeo e del Consiglio dove è stata infine votata (nel primo caso a larghissima maggioranza, nel secondo come sempre all’unanimità). In secundis perché sarebbe un grave errore, di politica economica e industriale, chiedere dilazioni anziché accettare la sfida dell’innovazione.

E non è accettabile neppure chiedere deroghe e annacquamenti rispetto alla ratio della direttiva, dicendo che c’è un usa e getta “buono” che va salvato perché attorno ad esso ruota una filiera importante dell’industria italiana, quella delle bioplastiche. Peraltro mostrando anche di confondere concetti diversi, usando la parola “bioplastiche” per definire cose diverse come plastiche “bio-based” (cioè materiale prodotto a partire da fonti vegetali), “biodegradabili” (termine a cui non corrisponde alcun tipo di brevetto né standard) e “compostabili” (per i quali esistono standard internazionali riconosciuti e con cui si intende che un prodotto può essere smaltito in un impianto di compostaggio industriale con temperature tra i 50 e 70°C e l’aggiunta di funghi e batteri che consentono la degradazione dei materiali plastici aggiunti, in piccole quantità, agli scarti organici).

I prodotti in plastica monouso messi al divieto dalla direttiva non sono sostenibili né difendibili: sono usa e getta, e vanno nella direzione sbagliata, quella dell’economia lineare, per la loro stessa logica intrinseca (estrai-usa-getta). L’economia circolare promuove al contrario il rispetto della gerarchia europea dei rifiuti, in cui la priorità è assegnata alla prevenzione e alla preparazione al riutilizzo, dato che il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto.

Quello delle bioplastiche è un settore di punta di cui l’Italia va giustamente fiera. Va difeso. Ma va difeso nella misura in cui si orienta anch’esso verso i beni durevoli, e non sostenendo l’esentabilità dal divieto sull’usa e getta di prodotti per i quali esistono delle valide alternative riutilizzabili, con l’infondata argomentazione che le bioplastiche sono materiali “ecologici”. Il termine “bioplastica” include infatti sia prodotti a base di fonti fossili che a base di fonti vegetali molto diversi tra loro e con impatti diversi lungo tutta la filiera produttiva. Anche la produzione di materiale vegetale per la creazione di plastiche “bio-based” ha degli impatti ambientali importanti che devono essere presi in considerazione (come l’utilizzazione di terreno agricolo o la perdita di habitat naturali e l’uso di acqua per la loro coltura). Inoltre, il sottoinsieme delle bioplastiche certificato come compostabile lo è in specifici impianti industriali, peraltro ad oggi non molto diffusi, mentre se disperso nell’ambiente (e sappiamo quanto spesso avvenga per i prodotti monouso, purtroppo) arreca danni agli ecosistemi e agli organismi viventi. Essendo composte da polimeri di sintesi non esistenti in natura, le plastiche compostabili si degradano infatti molto più lentamente di materiali naturali come la carta, il legno, le piume di uccelli, ecc, ed è per questo che il legislatore europeo le ha incluse nella definizione di plastica a cui si applica la direttiva SUP.

Vorremmo che il nostro Governo e l’ecologismo italiano si schierassero su queste chiare posizioni: la direttiva SUP si recepisce senza svuotarne gli obiettivi, senza sconti, senza deroghe miopi. Pensare di risolvere i problemi della dispersione nell’ambiente della plastica monouso avviando politiche di transizione alle “bioplastiche”, sempre monouso, è una scorciatoia che va poco lontano e rischia peraltro di deresponsabilizzare i consumatori, che paradossalmente potrebbero gettare gli oggetti con più leggerezza, ignorando in gran parte gli impatti negativi diretti e indiretti su ambiente e salute umana.


Elisa Meloni            Volt Italia, Responsabile Economia Circolare
Mauro Romanelli    Presidente Ecolobby
Andres Lasso           Presidente Ideale Ambiente
Gaia Pedrolli           Attivista XR Firenze